Non è possibile approcciarsi all’astrologia, né come operatori né come fruitori, senza prima aver fatto chiarezza sul concetto di destino e aver individuato un anello che congiunga l’esercizio del libero arbitrio al rispetto di un ordine deterministico valido in tutto l’Universo e in noi stessi.
Una delle note stonate che mi hanno inizialmente fatto guardare a questa disciplina con sospetto è l’aura di fatalismo che la avvolge; tra gli appassionati del settore, infatti, è largamente diffusa la tendenza ad adattarsi passivamente su ciò che l’oroscopo mostra, parlando di astri e costellazioni come di potenze tiranniche in grado di piegare il nostro volere. Si tenda a dire, insomma, che si è incapaci di affermarsi perché si ha “un brutto Marte” o che si è emotivamente sbilanciati perché nel tema “la Luna è troppo forte”. La cosa è in parte normale e direi quasi fisiologica: dopo aver trovato nelle stelle un riscontro dei nostri principali tratti caratteriali, la prima reazione che abbiamo è quella di metterci il cuore in pace, sentendoci finalmente compresi e giustificati. «Se perfino il cielo mi conferma questo mio modo di essere», ci diciamo, «evidentemente non è colpa mia, non devo più pensare di essere sbagliato». Giustissimo, perché difatti nessun modo di essere può mai ritenersi sbagliato di per sé, ma soltanto in relazione a delle specifiche finalità; è proprio per rintracciare queste ultime che ci serviamo dell’astrologia. È importante tenere a mente che nel grande gioco dell’esistenza non esistono colpe, ma responsabilità. Non ci si può avvicinare ad alcuna disciplina spirituale se prima non ci si libera di una certa mentalità superstiziosa che ci vorrebbe figli di un peccato originale da espiare (concetto biblico che in realtà andrebbe letto in chiave simbolica). Non veniamo puniti o premiati da qualche giudice celeste che di tanto in tanto schiaccia un bottone sulla sua cabina di comando astrale, tutto ciò che facciamo è raccogliere i frutti dei nostri pensieri, che si tramutano in emozioni, le quali a loro volta si traducono in azioni. Se le particelle d’acqua di una nuvola diventano pesanti, trasformandosi così in gocce e cadendo, non è per volere di un Dio arrabbiato, ma semplicemente perché a ogni stato corrispondono delle relative circostanze; è bene ricordare che, contrariamente a quanto sembra, non sono le circostanze che determinano il nostro modo di essere: è il nostro modo di essere che crea le circostanze. In quest’ottica possiamo decisamente affermare che è nata prima la gallina dell’uovo. È però innegabile che le circostanze, dopo essersi verificate, condizionino a loro volta le emozioni e i pensieri, dando il via a un circuito chiuso che spesso è difficile spezzare e le cui origini si perdono nelle nebbie del passato.
Finché non conosciamo noi stessi e le cause – terrene e ultraterrene – che ci hanno portati a essere ciò che oggi siamo, abbiamo tutto il diritto di ritenerci vittime di una realtà esterna che ci ha plasmato indipendentemente dalla nostra volontà. Quando però ci rendiamo conto che il nostro percorso è il risultato di una lunga catena di cause e di effetti, allora dobbiamo anche sforzarci di leggere la nostra carta del cielo e i nostri transiti planetari nell’ottica di un progetto preciso. Ogni nostra caratteristica astrologica, positiva o negativa che sia, ha una sua precisa ragione d’essere ed è assolutamente funzionale al nostro scopo ultimo. Ed eccoci così arrivati al nocciolo della questione: qual è questo scopo? È in sua funzione che compiamo ogni gesto nella nostra vita? E chi lo ha deciso poi, questo obiettivo, perché saremmo tenuti a perseguirlo? Effettivamente, dopo esserci sottoposti a una lettura del tema natale e aver constatato quanti dettagli coincidono con la realtà, proviamo un certo senso di inquietudine e ci sorge spontanea la domanda: «ma allora era tutto già scritto?», immediatamente seguita dalla conclusione: «quindi non posso farci niente».
Insomma, se tutto è già predestinato, che ruolo abbiamo noi all’interno di questo grande gioco?
A questo punto qualsiasi astrologo provetto che abbia sufficientemente familiarizzato con la materia sfodererà prontamente la celebre massima che ognuno dovrebbe recitare tutti i giorni a mo’ di mantra: “Astra inclinant, non necessitant”, ovvero “Gli astri inclinano ma non determinano”.
Cosa significa? Che le stelle sono in grado di dirci in quale direzione incamminarci, ma non muovono i piedi al posto nostro. Contengono e ci mostrano tutte le possibilità previste dalla nostra evoluzione, ma non ne scelgono una per noi.
Cos’è dunque, il destino? Ovviamente la risposta a questa domanda è ben al di là della portata della comprensione umana e giungere a una soluzione definitiva è impossibile, oltre che inutile. Tutto ciò che possiamo fare è tentare di contribuire a una parziale comprensione del concetto mettendo a disposizione degli altri il nostro frammento di intuizione. Ognuno di noi avrà una visione personale del destino.
Voglio provare a spiegarlo ricorrendo a un parallelismo con la fisica quantistica; in questa disciplina esiste un metodo di calcolo chiamato Integrale di Feynmann, utilizzato per misurare la probabilità che un particella subatomica (per esempio un elettrone) si sposti da un punto A a un punto B. Come sappiamo dal Principio di Indeterminazione di Heisenberg non è possibile calcolare contemporaneamente la posizione e la velocità di movimento di un oggetto subatomico. Per questa ragione, non vedremo mai un elettrone mentre cammina da un punto all’altro: lo vediamo apparire in un punto per poi sparire e rimaterializzarsi altrove. Prevedere dove riapparirà, però, è un’impresa difficile. Richard Feynmann ha escogitato una geniale soluzione al problema: bisogna calcolare tutti i possibili percorsi che l’elettrone può seguire.
In pratica, se trasponiamo il concetto su un piano concettuale, per la fisica quantistica un elettrone, per spostarsi dal punto A al punto B, percorre contemporaneamente tutte le strade esistenti, allargandosi lungo il suo percorso in quella che in gergo viene definita “nube quantistica” e restringendosi in prossimità dei punti di partenza e di arrivo.
Trovo questo modello molto efficace per definire ciò che a mio parere è il destino: ci sono un punto di partenza e uno di arrivo prestabiliti. Nasciamo con delle caratteristiche e al termine della vita dobbiamo averne acquisite delle altre. In questo senso, non siamo liberi, perché prima ancora di incarnarci abbiamo innescato una sorta di moto rettilineo uniforme che inevitabilmente ci condurrà verso una meta ben precisa (salvo interferenze che possono condurci fuori strada). Il libero arbitrio sta nel fatto che al punto prestabilito possiamo arrivarci in qualunque modo scegliamo. Anche noi potenzialmente percorriamo tutti i cammini possibili. Se per esempio il nostro tema natale ci dice che dobbiamo acquisire la capacità di comunicare (Gemelli-casa terza), ci lascia però liberi sulle modalità, pur dandoci numerose indicazioni aggiuntive. Se svilupperemo questa abilità facendo i giornalisti, o gli oratori, o i professori o semplicemente parlando molto con in nostri amici, questo saremo noi a deciderlo. Il tema natale sottolinea che ci sono ambiti nei quali avremo più fortuna e altri nei quali ne avremo meno, ma noi siamo liberissimi di scegliere se seguire la strada più facile o quella più ripida. Una cosa è certa: man mano che ci avviciniamo al nostro vero scopo, ci sentiamo risucchiare come da un’incredibile forza magnetica. Ci sentiamo pieni, soddisfatti, felici di esistere. È lì che capiamo di essere sulla strada giusta.
Rispettare e perseguire il proprio progetto dell’anima è la condizione imprescindibile per il nostro benessere. Non esiste altro modo di stare bene. Possiamo deviare, tornare indietro, fermarci a metà strada, ma saremo felici soltanto quando imboccheremo la nostra via. Questa meta possiamo comprenderla con la ragione leggendo la nostra carta del cielo, ma è solo dopo averla sentita risuonare dentro che per noi diventa viva e reale. In questo l’astrologia non può aiutarci, perché nessuna disciplina, per quanto sofisticata, può sostituirsi al nostro sentire.
Il tema natale è uno strumento che bisogna usare attivamente, alla stessa maniera in cui consulteremmo una mappa stradale per raggiungere una destinazione sconosciuta. Certo, la cartina può indicare che la strada incontrerà un certo numero di intersezioni, attraverserà determinate regioni e terminerà infine in un punto specifico, ma questo non significa che sia lei ad agire i nostri spostamenti.
Un altro errore a cui bisogna fare attenzione è quello di identificarci totalmente con le nostre coordinate astrologiche. Tanto per restare in ambito di metafore stradali, potremmo dire che il tema natale è la vettura che ci siamo scelti in dotazione; può trattarsi di un’utilitaria o di un fuoristrada, con un motore di maggiore o minore cilindrata, gli interni possono essere superaccessoriati oppure spartani, ma resta il fatto che siamo noi a condurla e che le sue prestazioni dipendono in gran parte dall’uso che facciamo. Non siamo la nostra macchina, la guidiamo e basta. Potremmo avere una Ferrari e non riuscire mai a superare i 60 km/h perché abbiamo troppa paura, o al contrario potremmo guidare una comunissima station wagon e attraversare rapidamente anche i sentieri più sconnessi. È chiaro che il fatto di possedere un’utilitaria anziché un’auto da corsa deve farci riflettere sull’uso che dovremmo farne e di conseguenza sugli obiettivi che è più ragionevole porci, ma ciò non toglie che siamo noi a fare la differenza.
Questo noi, tornando al tema natale, è qualcosa di impossibile da definire con concetti razionali e che si può solamente percepire. È la differenza che emerge alla fine di una lunga serie di sottrazioni: non è il corpo, non è il sistema nervoso, non sono i pensieri, non è la sessualità, non è la personalità, non è il temperamento, non sono i gusti personali, non è l’eredità genetica, non è il risultato dei condizionamenti sociali e culturali. È qualcos’altro, qualcosa di incondizionato e preesistente che possiamo sentire al nostro interno sotto forma di unità interiore, un nucleo centrale che irradia calore vitale. Bene, l’astrologia NON può indagare direttamente questo nucleo, se non per deduzione indiretta (specialmente adoperando metodi specifici come la lettura karmica), e non può definire la nostra essenza.
Un altro celebre detto astrologico ci ricorda che “il saggio domina il suo oroscopo, lo stolto ne è dominato”. Ecco perché due persone con un tema natale identico possono avere una vita completamente diversa, pur trovandosi ad affrontare temi simili. Un Capricorno, ad esempio, avrà sempre a che fare con l’autorità, imposta dall’esterno o acquisita in prima persona, così come uno Scorpione avrà sempre a che fare con le dinamiche di potere.
È importante da capire che ogni segno zodiacale ha diversi gradi di evoluzione, che in gergo possiamo chiamare ottave – proprio come sulla tastiera di un pianoforte una stessa nota si ripete più volte a intervalli regolari, presentandosi di volta in volta ad una frequenza diversa. O meglio, gli archetipi in sé sono sempre gli stessi, ma noi li esprimiamo in modo diverso a seconda di quanta consapevolezza ed equilibrio abbiamo.
Accettare la nostra natura così come ce la riflette il tema natale e rassegnarsi a un fato ineluttabile sono due cose molto diverse. Sono due gli errori più frequenti che le persone tendono a compiere nel corso del cammino evolutivo: il primo è quello di non riconoscere la propria natura, facendo di tutto per conformarsi a modelli ideali – o sociali – che non corrispondono a ciò che si è in realtà. Il secondo, diametralmente opposto, è quello di aggrapparsi alla propria identità come un’ostrica allo scoglio – per citare Verga – bandendo a priori ogni sforzo di superare i propri blocchi «perché tanto io sono fatto così». I due atteggiamenti, apparentemente antitetici, sono invece due poli opposti di uno stesso problema: il non riconoscimento del proprio percorso evolutivo.
Il fatto è che possiamo cambiare, ma solo se prima abbiamo riconosciuto e accettato ciò che siamo adesso. Cambiamento dev’essere sinonimo di evoluzione; si cambia e si migliora a partire da ciò che si è, non ci si può alterare a casaccio. In questo senso l’astrologia è molto chiara: ci descrive quali sono gli strumenti già a nostra disposizione, ci spiega quali capacità dobbiamo invece sviluppare nel tempo e infine ci dice quali esperienze non hanno rilevanza nel nostro percorso.
La nostra vita è come un palazzo le cui fondamenta sono già state gettate dalla nostra anima prima della nascita: il nostro compito è quello di erigerlo in modo che resti in piedi e che rispecchi il nostro gusto. Potremo sempre espanderlo, ristrutturarlo e decorarlo a nostro piacimento ma non potremo mai modificarne la pianta; se lo facessimo l’intera costruzione crollerebbe.